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Leghi caviglie con nastro nero
perché io non fugga da questa morte
e si spingono a diventar capestro
quelle carezze sottili che fan tremare
per la dolenza del consumato canto.
In quell’istante sopportato
in cui ti nutri del mio ventre,
trapasso in quella vita confacente,
dolce miraggio d’infedeltà
e appendo le mie gambe, cingendole
intorno a quegli anelati fianchi.
Sopra un letto imperfetto
sfiori l’impronta del mio corpo,
cercandomi ancora fra pieghe d’amplesso
che ti abbandonano perplesso.
Separo la tua presenza dalla mia,
in tempo dissimile dal tuo
e m’accorgo in mestizia che in quella me, di te,
resta per breve vita un indefinito riflesso
che scivola lento, fuori dal mio sesso.
Micol
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